lunedì 21 dicembre 2015

dna, tante parole, un amore


Parliamo ancora un pò di DNA,mi piace vederlo un pò come un’entità a se, vivente, qualcosa di diverso di ciò che lo intende Dawkins con la sua teorisa del gene egoista,(scienziato che adoro)  ma come un’essere vivente, che nasce, cresce, si riproduce ed alla fine muore, anche se di morte proprio non si può parlare. Qui farò una descrizione molto schematizzata, un atto nello studio della genetica.
GRIFFITH
L'esperimento di Frederick Griffith del 1928 fu uno dei primi esperimenti a suggerire che i batteri sono in grado di trasferire informazioni genetiche attraverso un processo noto come trasformazione. In tal modo, esso aprì la strada alla determinazione di quale fosse la natura del materiale genetico.
Il ceppo S è detto anche liscio dal momento che produce colonie lisce e lucenti (grazie alla presenza di una capsula batterica polisaccaridica che avvolgeva ogni cellula). Questo ceppo è in grado di provocare la polmonite.Il ceppo R è detto anche rugoso dal momento che produce colonie dall'aspetto "rugoso" (a causa dell'assenza della capsula batterica). Questo ceppo non è in grado di provocare polmonite.
Di fatto ora sappiamo che il ceppo R deriva da una mutazione di un ceppo S. L’osservazione originale di Griffith si realizzò quando egli provò a inoculare in combinazione sia i batteri patogeni uccisi con il calore che quelli vivi, ma non patogeni, di ceppo R. Inaspettatamente gli animali sviluppavano polmonite mortale e dal loro sangue e dal loro liquido ascitico, era possibile isolare i batteri vivi di ceppo patogeno. Griffith intuì che dalle cellule atteriche inattivate qualche sostanza veniva trasferita a quelle innocue ed era in grado di conferire ad esse le caratteristiche di patogenicità. Griffith definì questa sostanza non identificata Fattore Trasformante. Erroneamente, come però la stragrande maggioranza degli scienziatii suoi contemporanei, riteneva che questa sostanza dovesse essere di natura proteica. A partire da questo importantissimo esperimento, Avery, MacLeod e McCarty nel 1943 dimostrarono che il materiale genetico in questione era il DNA (anche se la prova definitiva arrivò solo dagli esperimenti di Hershey e Chase del 1953). Fu solo quasi due decenni dopo che il progresso della biochimica permise al gruppo di ricerca Avery e McLeod di sviluppare l’esperimento di Griffith con la purificazione delle sostanze che compongono le cellule batteriche uccise. Partendo dalla coltura di pneumococchi uccisi con il calore, i ricercatori separarono zuccheri, proteine, lipidi ed acidi nucleici. 

AVERY
 Avery e i suoi colleghi Colin M. MacLeod e Maclyn McCarty risale al 1943 si procurò una coltura di pneumococchi di tipo S. A questo punto lisò le cellule (cioè ne ruppe la parete e la membrana cellulare) in modo da ottenere una soluzione nella quale era disciolto il materiale contenuto nei batteri, il cosiddetto estratto cellulare o lisato cellulare. Il materiale genetico doveva presumibilmente essere uno dei diversi tipi di macromolecole biologiche presenti nei batteri: (proteine, polisaccaridi, acidi nucleici – ovvero DNA e RNA – e lipidi). Avery e colleghi riuscirono a separare l'estratto cellulare nelle varie componenti macromolecolari appena citate. Successivamente cercarono di capire quali di queste sostanze erano effettivamente in grado di trasformare batteri R avirulenti in batteri S virulenti. Le cavie sopravvivevano quando trattate con tutte le biomolecole tranne gli acidi nucleici: il materiale genetico doveva essere quindi DNA e/o RNA. Per capire quale delle due sostanze fosse, divisero l'estratto contenente l'acido nucleico in due aliquote: una venne trattata con l'enzima ribonucleasi (RNasi) che degrada selettivamente l'RNA e non il DNA, l'altra venne invece trattata con deossiribonucleasi (DNasi) che degrada selettivamente il DNA e non l'RNA. Ciò che si osservò era la trasformazione dei batteri R in batteri S solo in seguito all'aggiunta dell'aliquota trattata con RNasi. Il materiale genetico doveva allora essere necessariamente il DNA.

HERSHEY e CHASE
L'esperimento di Alfred D. Hershey e Martha Chase prova definitivamente nel 1953 che il materiale genetico è costituito da DNA e non da proteine. In seguito a questi risultati incontrovertibili anche gli scienziati che avevano criticato l'esperimento di Avery, MacLeod e McCarty si convincono dell'importantissimo ruolo biologico del DNA. Hershey e Chase svolgevano studi su un fago, ovvero un virus in grado di infettare i batteri; in particolare il fago di loro interesse era noto come "T2". Questo virus è in grado di attaccare Escherichia coli (un batterio utilizzato spesso come modello in questo genere di studi).All'epoca era noto che T2 era formato esclusivamente da DNA protetto da un involucro proteico. I due scienziati prepararono in parallelo due colture di E. coli:
  • Nel terreno di coltura della prima introdussero fosforo marcato radioattivamente (l'isotopo 32P). 
  • Nel terreno di coltura della seconda introdussero zolfo marcato radioattivamente (l'isotopo 35S). 
I batteri delle due colture metabolizzarono da una parte il fosforo marcato e dall'altra lo zolfo marcato introducendo questi atomi radioattivi nelle biomolecole presenti all'interno delle cellule.
In particolare:
  • Il fosforo marcato si troverà nei nucleotidi e di conseguenza anche negli acidi nucleici; non sarà presente invece in quantità significative nelle proteine. 
  • Lo zolfo marcato si troverà nelle proteine (in particolare nell'amminoacido cisteina) e non si troverà nei nucleotidi. 
A questo punto i ricercatori infettarono parallelamente le due colture batteriche con il fago T2. Questo virus utilizza l'apparato biosintetico delle cellule di E. coli per replicare il proprio DNA e per sintetizzare le proteine del rivestimento e quindi per costruire virus completi che causeranno poi la lisi (rottura) della cellula batterica parassitata. Dal momento che i nucleotidi e gli amminoacidi utilizzati nella sintesi del DNA e delle proteine virali sono quelli presenti all'interno della cellula batterica infettata (cresciuta nutrendosi degli isotopi radioattivi), ne risulta che i fagi sviluppati dall'infezione nella prima coltura avranno un DNA marcato radioattivamente, mentre quelli sviluppati dall'infezione della seconda coltura avranno il rivestimento proteico esterno marcato radioattivamente. Hershey e Chase separarono i fagi neoformati (quelli marcati) dai due terreni di coltura e, separatamente, li utilizzarono per infettare altre due colture di E. coli, in questo caso cresciute su terreni "standard" privi di isotopi radioattivi.
  • Nel caso in cui i fagi infettanti avevano il DNA marcato, in seguito all'infezione gran parte della radioattività veniva misurata all'interno delle cellula batteriche colpite (e nel DNA di una parte dei nuovi fagi sviluppatisi in seguito a questa infezione). 
  • Nel caso in cui i fagi infettanti avevano il rivestimento proteico marcato, la radioattività veniva misurata solamente all'esterno delle cellule batteriche colpite (e non era presente sul rivestimento proteico dei nuovi fagi sviluppatisi in seguito a questa infezione). 
 Il processo utilizzato per determinare se la radioattività provenisse dall'interno o dall'esterno delle cellule fu il seguente: dopo un certo tempo dall'inizio dell'infezione, il terreno di coltura veniva posto in un agitatore. La conseguente agitazione provocava il distacco del rivestimento proteico dei virus dalla membrana cellulare del batterio (in questo caso si parla di "ombre fagiche" poiché questi rivestimenti proteici non contengono il DNA che è già stato iniettato nella cellula). Il tutto veniva poi centrifugato: le cellule batteriche (contenenti eventualmente il DNA marcato) rimanevano sul fondo della provetta, mentre i rivestimenti proteici dei virus, distaccati dalle membrane cellulari dei batteri, rimanevano in sospensione. A seconda di dove si misurava la maggiore radioattività era possibile dedurre se la molecola marcata si trovasse o meno all'interno della cellula batterica.Nel caso del DNA marcato la radioattività si misurò sul fondo della provetta (quindi all’interno dei batteri.Nel caso delle proteine marcate la radioattività si misurò sul sopranatante (quindi all’esterno dei batteri). Dal momento che il fago per replicarsi ha bisogno di introdurre all'interno della cellula ospite il suo materiale genetico per poter sfruttare l'apparato batterico di biosintesi, appare evidente che questo materiale genetico deve essere per forza il DNA poiché, come dimostrato, le proteine non entrano nella cellula colpita mentre il DNA sì.
A questo punto rimaneva aperta un'ultima questione: "Di cosa è fatto il materiale genetico degli "organismi" che non contengono DNA (i virus a RNA)?". La risposta a questa domanda non tardò ad arrivare in seguito a studi condotti sul virus del mosaico del tabacco (TMV) da Gierer e Schramm (1956) e da Fraenkel-Conrat e Singer (1957). 
Scoperta RNA come materiale genetico dei virus
Gli esperimenti eseguiti sul virus del mosaico del tabacco (A. Gierer e G. Schramm 1956 - Fraenkel-Conrat e Singer 1957) dimostrarono che nei virus a RNA il materiale genetico è appunto l'RNA. Esistono diversi virus a RNA: alcuni infettano i batteri (sono quindi dei fagi), altri infettano gli animali (per esempio il virus responsabile della poliomielite) altri infine infettano le piante (ad esempio il virus del mosaico del tabacco, altrimenti noto come TMV). Il TMV è costituito esclusivamente da un'elica di RNA circondata da un involucro polimerico (il cui monomero è una particolare proteina) che prende il nome di capside. È un classico virus a simmetria elicoidale.
L'esperimento di A. Gierer e G. Schramm
Questi due scienziati nel 1956 riuscirono ad isolare il TMV e a separare l'elica di RNA dal rivestimento proteico. L'iniezione del solo RNA all'interno di cellule in una pianta di tabacco sana era sufficiente a scatenare l'infezione virale. I virus formati in seguito all'infezione erano formati da un'elica di RNA circondata dal capside proteico. Evidentemente l'RNA conteneva l'informazione per la costruzione del rivestimento proteico e di conseguenza doveva essere il materiale genetico.
L'esperimento di Fraenkel-Conrat e Singer
Ad un anno dalla prova sperimentale appena descritta, Fraenkel-Conrat e Singer idearono un esperimento in grado di confermare i risultati precedentemente ottenuti da Gierer e Schramm. Procedettero isolando due ceppi di TMV che presentavano un rivestimento proteico leggermente differente. Riuscirono a "spogliare" le eliche di RNA dai rispettivi capsidi e a "ricostruire" le particelle virali in vitro facendo però in modo che l'RNA del primo ceppo venisse ricoperto dalle proteine che rivestivano originariamente il secondo ceppo, e viceversa. Iniettando questi virus in piante sane si otteneva come risultato una progenie virale che presentava il rivestimento proteico originario.Il risultato fu in grado di confermare le conclusioni tratte un anno prima da Gierer e Schramm

Struttura a doppia elica del DNA
 L'acido desossiribonucleico o deossiribonucleico (DNA) è un acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla biosintesi di RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi. Dal punto di vista chimico, il DNA è un polimero organico costituito da monomeri chiamati nucleotidi (deossiribonucleotidi). Tutti i nucleotidi sono costituiti da tre componenti fondamentali: un gruppo fosfato, il deossiribosio (zucchero pentoso) e una base azotata che si lega al deossiribosio con legame N-glicosidico. Le basi azotate che possono essere utilizzate nella formazione dei nucleotidi da incorporare nella molecola di DNA sono quattro: adenina, guanina, citosina e timina mentre nell'RNA, al posto della timina, è presente l'uracile. Il DNA può essere più correttamente definito come una doppia catena polinucleotidica (A,T,C,G), antiparallela, orientata, complementare, spiralizzata, informazionale. L'ordine nella disposizione sequenziale dei nucleotidi costituisce l'informazione genetica, la quale è tradotta con il codice genetico negli amminoacidi corrispondenti. La sequenza amminoacidica prodotta, detta polipeptide, forma le proteine. Il processo di traduzione genetica (comunemente chiamata sintesi proteica) è possibile solo in presenza di una molecola intermedia di RNA, che è generata per complementarità con le quattro basi dei nucleotidi del DNA in un processo noto come trascrizione. Tale processo non genera solo filamenti di RNA destinati alla traduzione, ma anche frammenti già in grado di svolgere svariate funzioni biologiche (ad esempio all'interno dei ribosomi, dove l'RNA ha una funzione strutturale). L'informazione genetica è duplicata prima della divisione cellulare, attraverso un processo noto come replicazione del DNA, che evita la perdita di informazione nel passaggio tra diverse generazioni cellulari.
Negli eucarioti, il DNA si complessa all'interno del nucleo in strutture chiamate cromosomi. Negli altri organismi, privi di nucleo, esso può essere organizzato in cromosomi o meno (nei batteri è presente un'unica molecola di DNA circolare a doppia catena, mentre i virus possono avere genomi a DNA oppure ad RNA). All'interno dei cromosomi, le proteine della cromatina come gli istoni, le coesine e le condensine, organizzano il DNA e lo avvolgono in strutture ordinate. Queste strutture guidano l'interazione tra il codice genetico e le proteine responsabili della trascrizione, contribuendo al controllo della trascrizione genica.

Cenni storici
Il DNA fu inizialmente isolato dal biochimico svizzero Friedrich Miescher, il quale, nel 1869, individuò una sostanza microscopica contenuta nel pus di bende chirurgiche utilizzate. Dal momento che tale molecola aveva la sua localizzazione nel nucleo, egli la chiamò nucleina.[2] Nel 1919 Phoebus Levene individuò la struttura del nucleotide, composta da base azotata, zucchero e fosfato. Levene suggerì che il DNA consistesse di un filamento di nucleotidi legati tra loro attraverso i fosfati. Egli, però, era convinto che tale filamento fosse corto e che le basi fossero disposte secondo un preciso ordine ripetuto. Nel 1937 William Astbury presentò i primi risultati di alcuni studi di diffrazione a raggi X, i quali dimostrarono che il DNA ha una struttura estremamente regolare[4]. Nel 1944 Erwin Schrödinger asserì che, visto che secondo la fisica quantistica i sistemi di pochi atomi hanno un comportamento disordinato, il materiale genetico doveva essere costituito da una grande molecola non ripetitiva, sufficientemente stabile da mantenere l'informazione genetica, chiamata "cristallo aperiodico"
Nel 1928 Frederick Griffith scoprì che i caratteri della forma smooth ("liscia") di Pneumococcus potevano essere trasferiti alla forma rough ("rugosa"), miscelando i resti di batteri smooth morti con batteri rough vivi. Questo sistema, pur non fornendo nessuna evidenza su quale fosse la sostanza che determinava il cambiamento, mostrava che qualcosa potesse trasportare l'informazione genetica dai resti dei batteri morti a quelli vivi. Si parlò quindi di un principio trasformante in grado di modificare i batteri vivi. Nel 1943 Oswald Theodore Avery dimostrò, in un celebre esperimento insieme a Colin MacLeod e Maclyn McCarty, che il DNA è il principio trasformante alla base di questo fenomeno. Il ruolo del DNA nell'ereditarietà è stato provato, infine, nel 1953 da Alfred Hershey e Martha Chase attraverso un altro classico esperimento, che dimostrò che il materiale genetico del fago T2 è effettivamente il DNA.

Il 1953 è anche l'anno in cui, attraverso ulteriori immagini da diffrazione a raggi X realizzate da Rosalind Franklin, chimica-fisica inglese, James Watson e Francis Crick presentarono, sulla rivista Nature, quello che è oggi accertato come il primo modello accurato della struttura del DNA, ovvero il modello a doppia elica. A disegnarne il bozzetto fu Odile Speed, pittrice e moglie di Crick. Le evidenze sperimentali a supporto del modello di Watson e Crick furono riportate in una serie di cinque articoli pubblicati sullo stesso numero di Nature.[11] Tra questi figurava l'articolo della Franklin e di Raymond Gosling, che conteneva i dati di diffrazione a raggi X, fondamentale per sostenere il modello. Tale numero conteneva anche un articolo sulla struttura del DNA scritto da Maurice Wilkins. Nel 1962, dopo la morte di Rosalind Franklin (a causa di un tumore provocato, probabilmente, dalle alte dosi di raggi X a cui si era esposta nel corso dei suoi esperimenti), Watson, Crick e Wilkins ricevettero congiuntamente il Premio Nobel per la medicina Dal momento che la scoperta del modello si basò essenzialmente sui dati di Rosalind Franklin, ancora oggi esistono pareri molto eterogenei nella comunità scientifica su chi avrebbe dovuto ricevere tale premio. In un'importante presentazione del 1957, Crick propose il dogma centrale della biologia molecolare, che fissa le relazioni tra DNA, RNA e proteine. La conferma finale del meccanismo di replicazione basato sulla struttura a doppia elica fu fornita nel 1958 dall'esperimento di Meselson-Stahl.[17] Un successivo lavoro di Crick dimostrò come il codice genetico fosse basato su triplette di basi non sovrapposte, permettendo ad Har Gobind Khorana, Robert Holley e Marshall Warren Nirenberg di decifrarlo. Queste scoperte sono alla base della moderna biologia molecolare.
Nel 1961 Marshall Nirenberg e Severo Ochoa scoprono che ogni tripletta di nucleotidi codifica per uno specifico amminoacido.
Composizione

Struttura a doppia elica del DNA. Sono messi in evidenza gli accoppiamenti tra le quattro basi azotate.
Il DNA è un lungo polimero costituito da unità ripetute di nucleotidi.[19][20] La catena del DNA è larga tra i 22 ed i 26 Ångström (da 2,2 a 2,6 nanometri) ed ogni unità nucleotidica è lunga 3,3 Ångstrom (0,33 nanometri).[21] Sebbene ogni unità occupi uno spazio decisamente ridotto, la lunghezza dei polimeri di DNA può essere sorprendentemente elevata, dal momento che ogni filamento può contenere diversi milioni di nucleotidi. Ad esempio, il più grande cromosoma umano (il cromosoma 1) contiene quasi 250 milioni di paia di basi.[22]
Negli organismi viventi, il DNA non è quasi mai presente sotto forma di singolo filamento, ma come una coppia di filamenti saldamente associati tra loro.[10][23] Essi si intrecciano tra loro a formare una struttura definita doppia elica. Ogni nucleotide è costituito da uno scheletro laterale, che ne permette il legame covalente con i nucleotidi adiacenti, e da una base azotata, che instaura legami idrogeno con la corrispondente base azotata presente sul filamento opposto. Il composto formato da una base azotata legata allo zucchero è definito nucleoside; un nucleotide è invece un nucleoside a cui sono legati uno o più gruppi fosfato.
La struttura laterale del DNA è composta da unità ripetute ed alternate di gruppi fosfato e di 2-deossiribosio, uno zucchero pentoso (a cinque atomi di carbonio) che si lega ai fosfati adiacenti attraverso legami fosfodiesterici presso il terzo ed il quinto carbonio; in pratica, ogni molecola di fosfato forma un ponte molecolare collegando, attraverso legami fosfodiesterici, il carbonio in posizione 3′ di una molecola di deossiribosio con quello in posizione 5′ dello zucchero successivo. Conseguenza di questi legami asimmetrici è che ogni filamento di DNA ha un senso, determinato dalla direzione dei legami fosfodiesterici. Le basi azotate, invece, si uniscono in posizione 1' dello zucchero desossiribosio con legami N-glicosidici. In una doppia elica, il senso di un filamento è opposto a quello del filamento complementare. Per tale motivo, i due filamenti che costituiscono una doppia elica sono detti antiparalleli. Le estremità asimmetriche di un filamento di DNA sono definite estremità 5′ (cinque primo) ed estremità 3′ (tre primo). La principale differenza tra il DNA e l'RNA è lo zucchero pentoso utilizzato: l'RNA, infatti, utilizza il ribosio. La doppia elica del DNA è stabilizzata dai legami idrogeno che si instaurano tra le basi azotate presenti sui due filamenti.[26] Le quattro basi che sono presenti nel DNA sono l'adenina (abbreviata con la lettera A), la citosina (C), la guanina (G) e la timina (T). Tutte e quattro le basi hanno struttura eterociclica, ma adenina e guanina sono, dal punto di vista strutturale, derivate della purina, e pertanto dette basi puriniche, mentre citosina e timina sono correlate alla pirimidina e dette basi pirimidiniche.[23] Esiste una quinta base, di tipo pirimidinico, chiamata uracile (U), ma essa non è di norma presente nelle catene di DNA. L'uracile è altresì presente nei filamenti di RNA al posto della timina, dalla quale si differenzia per la mancanza di un gruppo metile. L'uracile è presente nel DNA solo come prodotto della degradazione della citosina. Solo nel batteriofago PBS1 tale base può essere utilizzata all'interno del DNA.[27] Al contrario, è molto più frequente individuare la timina all'interno di molecole di RNA, a causa della metilazione enzimatica di diversi uracili. Questo evento avviene solitamente a carico di RNA con funzione strutturale o enzimatica (rRNA e tRNA). La doppia elica è una spirale destrorsa. Con l'avvitarsi su sé stessi dei due filamenti, restano esposti dei solchi tra i diversi gruppi fosfato. Il solco maggiore è largo 22 Å, mentre il solco minore è largo 12 Å.[29] La differente ampiezza dei due solchi si traduce concretamente in una differente accessibilità delle basi, a seconda che si trovino nel solco maggiore o minore. Proteine che legano il DNA, come i fattori di trascrizione, dunque, solitamente prendono contatto con le basi presenti nel solco maggiore.[30][31]
 Appaiamento delle basi
 Ogni tipo di base presente su un filamento forma un legame con la base posta sul filamento opposto. Tale evento è noto come appaiamento complementare. Le basi puriniche formano legami idrogeno con le basi pirimidiniche: A può legare solo T e G può legare solo C. L'associazione di due basi viene comunemente chiamata paio di basi ed è l'unità di misura maggiormente utilizzata per definire la lunghezza di una molecola di DNA. Dal momento che i legami idrogeno non sono covalenti, essi possono esser rotti e riuniti in modo relativamente semplice, poiché questi sono legami ad alta energia. I due filamenti possono essere allontanati tra loro, come avviene per una cerniera, sia dalle alte temperature che da un'azione meccanica (come avviene durante la replicazione del DNA).[32] Conseguenza di questa complementarità è che tutte le informazioni contenute nella doppia elica possono essere duplicate a partire da entrambi i filamenti, evento fondamentale per una corretta replicazione del DNA.[19]
I due tipi di paia di basi formano un numero differente di legami idrogeno: A e T ne formano due, G e C tre. Per tale motivo, la stabilità del legame GC è decisamente maggiore di quello AT. Di conseguenza, la stabilità complessiva di una molecola di DNA è direttamente correlata alla frequenza di GC presenti nella molecola stessa, nonché alla lunghezza dell'elica: una molecola di DNA è dunque tanto più stabile quanto più contiene GC ed è lunga.[33] Un'altra conseguenza di tale evento è il fatto che le regioni di DNA che devono essere separate facilmente contengono un'elevata concentrazione di A e T, come avviene ad esempio per il Pribnow box dei promotori batterici, la cui sequenza è infatti TATAAT. In laboratorio, la stabilità dell'interazione tra filamenti è misurata attraverso la temperatura necessaria a rompere tutti i legami idrogeno, chiamata temperatura di melting (o Tm). Quando tutti i legami idrogeno sono rotti, i singoli filamenti si separano e possono assumere strutture molto variegate.[35]
La stabilizzazione della doppia elica, in ogni caso, non è dovuta ai soli legami idrogeno, ma anche ad interazioni idrofobiche e di pi stacking.[36]
Senso e antisenso
 Una sequenza di DNA è definita senso se la sua sequenza è la stessa del relativo mRNA. La sequenza posta sul filamento opposto è invece detta antisenso. Dal momento che le RNA polimerasi lavorano producendo una copia complementare, il filamento necessario per la trascrizione è l'antisenso. Sia nei procarioti che negli eucarioti vengono prodotte numerose molecole di RNA antisenso a partire dalle sequenze senso. La funzione di questi RNA non codificanti non è stata ancora completamente chiarita.[37] Si ritiene che gli RNA antisenso possano giocare un ruolo nella regolazione dell'espressione genica. Esistono alcune sequenze di DNA, sia in procarioti che in eucarioti (ma soprattutto nei plasmidi e nei virus) in cui la differenza tra sequenze senso ed antisenso è meno chiara, dal momento che le sequenze di alcuni geni si sovrappongono tra loro.[39] In questi casi, dunque, alcune sequenze rivestono un doppio compito: codificare una proteina se lette in direzione 5'→3′ su un filamento; codificarne un'altra se lette sull'altro (sempre in direzione 5'→3′). Nei batteri, questa sovrapposizione genica è spesso coinvolta nella regolazione della trascrizione,[40] mentre nei virus il fenomeno è dovuto alla necessità di contenere in un piccolo genoma un'elevata quantità di informazioni.[41] Un altro modo di ridurre le dimensioni genomiche è quello individuato da altri virus, che contengono molecole di DNA lineare o circolare a singolo filamento.[42][43]

Superavvolgimento

Il DNA può essere distorto come avviene per una corda attraverso un processo definito superavvolgimento. Quando il DNA è in uno stato rilassato, un filamento percorre un giro completo intorno all'asse ogni 10.4 paia di basi. Se invece il DNA è distorto, il numero di basi può aumentare o diminuire.[44] Lo stato di superavvolgimento in cui si trova una molecola di DNA è definito topologia. Se il DNA si avvolge nella direzione dell'elica, si parla di superavvolgimento positivo, con le basi strette tra loro in modo più marcato. In caso contrario, si parla di superavvolgimento negativo. In natura, la maggior parte delle molecole di DNA presentano un lieve superavvolgimento negativo, introdotto da enzimi definiti topoisomerasi.[45] Questi enzimi sono anche necessari in processi come la trascrizione e la replicazione del DNA, dal momento che sono in grado di risolvere gli stress topologici indotti dai processi stessi.[46]
Strutture alternative a doppia elica
Le strutture del DNA A, B e Z
Il DNA esiste in diversi tipi di conformazioni. Esse sono denominate A-DNA, B-DNA, C-DNA, D-DNA,[47] E-DNA,[48] H-DNA,[49] L-DNA,[47] P-DNA[50] e Z-DNA.[25][51] In ogni caso, solo le conformazioni A-DNA, B-DNA e Z-DNA sono state osservate nei sistemi biologici naturali. La conformazione del DNA può dipendere dalla sequenza, dal superavvolgimento, dalla presenza di modificazioni chimiche delle basi o dalle condizioni del solvente, come la concentrazione di ioni metallici.[52] Di tali conformazioni, la conformazione B è la più frequente nelle condizioni standard delle cellule.[53] Le due conformazioni alternative sono differenti dal punto di vista della geometria e delle dimensioni. La forma A è un'ampia spirale destrorsa (il solco minore è largo ma poco profondo, quello maggiore è più stretto e profondo), con un passo di 2,9 nm (circa 11bp) ed un diametro di 2,5 nm. Tale conformazione è presente in condizioni non fisiologiche, quando il DNA viene disidratato. In condizioni fisiologiche, questa conformazione caratterizza gli eteroduplex di DNA e RNA e i complessi formati dalle associazioni DNA-proteina. La conformazione Z è tipica invece delle sequenze che presentano modificazioni chimiche come la metilazione, e dei tratti di DNA ricchi di basi C e G. Essa assume un andamento sinistrorso, opposto rispetto alla conformazione B.[56] Ha un passo di 4,6 nm ed un diametro di 1,8 nm, il solco maggiore più superficiale e quello minore più stretto; deve il suo nome all'andamento a zig-zag che la caratterizza. Queste strutture inusuali possono essere riconosciute da specifiche Z-DNA-binding proteins, con conseguenze notevoli nella regolazione della trascrizione.[57]
Strutture alternative alla doppia elica
Le regioni terminali dei cromosomi lineari sono sequenze ripetute dette telomeri. La funzione principale di tali regioni è quella di permettere alla cellula di replicare le estremità dei cromosomi senza che ci sia perdita di informazioni geniche, dal momento che le DNA polimerasi coinvolte nella replicazione del DNA non sono in grado di replicare le estremità 3' dei cromosomi.[59] Se un cromosoma non avesse telomeri, infatti, diventerebbe un po' più corto ad ogni replicazione, con il rischio di perdere sequenze codificanti. Attraverso un particolare tipo di DNA polimerasi (detto telomerasi), invece, i telomeri mantengono costantemente la loro lunghezza, proteggendo così la parte interna del cromosoma. Nelle cellule umane, i telomeri sono composti da alcune migliaia di ripetizioni di una semplice sequenza costituita da TTAGGG. Questa sequenza ricca in guanina può stabilizzare le estremità dei cromosomi formando strutture insolite, composte da unità di quattro basi azotate al posto delle canoniche due. Ciò è dovuto all'interazione tra quattro guanine, che formano una struttura planare che si impila sopra ad altre strutture dello stesso tipo, ad ottenere un filamento stabile definito G-quadruplex structure.[61] Tali strutture sono stabilizzate dalla formazione di legami idrogeno che si instaurano tra le sommità delle basi e dalla chelazione con uno ione metallico, situato al centro di ogni unità di quattro basi. Oltre a queste, i telomeri generano anche strutture circolari, chiamate telomere-loops o T-loops. In questo caso, il singolo filamento di DNA si piega a formare ampie circonferenze, stabilizzate da proteine specifiche che legano i telomeri.[63] Al termine del T-loop, il singolo filamento di DNA prende contatto con un doppio filamento, che si apre e forma una struttura a tripla elica. Questa struttura è chiamata displacement-loop o D-loop.[61] La sua struttura è stata paragonata ad una lunghissima scala a pioli attorcigliata su sé stessa e composta da due montanti (filamenti costituiti da molecole di acido fosforico e di desossiribosio) e da tanti gradini (formati da quattro composti, detti basi azotate: adenina, guanina, citosina e timina). Le basi azotate si legano secondo una regola ben precisa: l'adenina si lega solamente con la timina. La guanina si lega esclusivamente con la citosina. Si dice perciò che le basi azotate adenina-timina e guanina-citosina sono complementari. L'insieme di acido fosforico + zucchero desossiribosio + base azotata costituisce l'unità di base del DNA: questo insieme è detto nucleotide e si ripete in ciascun filamento per tutta la sua lunghezza. Ogni essere vivente possiede il proprio DNA, che contiene tutte le informazioni genetiche necessarie per controllare le attività dell'organismo. La particolare struttura del DNA ne consente la duplicazione e quindi la sostituzione di eventuali parti mancanti perfettamente uguali all'originale; ciò avviene durante l'interfase quando i cromosomi sono dispersi nel nucleo e hanno l'opportunità di duplicarsi. La formazione delle proteine, detta sintesi delle proteine o traduzione, avviene nel citoplasma e segue fasi ben precise: il DNA nel nucleo fa da stampo per la formazione dell'RNA messaggero, mediante un processo chiamato trascrizione che è un meccanismo simile a quello della duplicazione. In questo modo la sequenza dei nucleotidi nel mRNA risulta complementare a quella del DNA con la base U al posto della base T. 
Modificazioni di basi
L'espressione genica di un determinato locus è influenzata dalla struttura che la cromatina assume presso il locus stesso. Regioni eterocromatiniche (caratterizzate da una espressione scarsa o assente) sono estesamente metilate sulle citosine. La metilazione della citosina, ad esempio, è fondamentale per l'inattivazione del cromosoma X.[64] Il livello medio di metilazione è molto variabile tra i diversi organismi: Caenorhabditis elegans non presenta metilazione delle citosine, mentre i vertebrati mostrano livelli maggiori, con circa l'1% del genoma contenente 5-metilcitosina.[65] La 5-metilcitosina, essendo suscettibile di deaminazione spontanea, è una base presso cui l'incidenza di mutazioni è elevatissima. Ulteriori modificazioni di basi sono la metilazione dell'adenina (presente nei batteri) e la glicosilazione dell'uracile che produce le cosiddette basi J nei cinetoplastidi
Danni al DNA
Il DNA può essere alterato dall'azione di numerosi agenti, genericamente definiti mutageni; è fondamentale notare però come una mutazione -ovverosia un cambiamento raro, casuale, che alteri la sequenza di basi azotate- non sia necessariamente un evento pernicioso ma anzi sia alla base dell'evoluzione: suddetta mutazione dovrà però farsi spazio nella fittissima rete cibernetica cellulare nonché nell'ambiente nel quale vive ed opera l'organismo vivente in questione; qualora vengano superati questi punti di restrizione (altamente selettivi vista la loro complessità intrinseca, la stragrande maggioranza delle mutazioni difatti si rivela non vantaggiosa od anche neutra), si avrà un organismo arricchito dalla mutazione. Tra gli agenti alteranti figurano ad esempio agenti ossidanti, agenti alchilanti ed anche radiazioni ad alta energia, come i raggi X e gli UV. Il tipo di danno causato al DNA dipende dal tipo di agente: gli UV, ad esempio, danneggiano il DNA generando la formazione di dimeri di timina, costituiti da ponti aberranti che si instaurano tra basi pirimidiniche adiacenti.[70] Agenti ossidanti come i radicali liberi o il perossido di idrogeno, invece, producono danni di tipo più eterogeneo, come modificazioni di basi (in particolare di guanine) o rotture del DNA a doppio filamento.[71] Secondo diversi studi, in ogni cellula umana almeno 500 basi al giorno sono sottoposte a danni ossidativi.[72][73] Di tali lesioni, le più pericolose sono le rotture a doppio filamento, dal momento che tali danni sono i più difficili da riparare e costituiscono l'origine primaria delle mutazioni puntiformi e frameshift che si accumulano sulle sequenze genomiche, nonché delle traslocazioni cromosomiche. Molti agenti devono il loro potere mutageno alla capacità di intercalarsi tra due basi azotate consecutive. Gli intercalanti sono tipicamente molecole planari e aromatiche, come l'etidio, la daunomicina, la doxorubicina o la talidomide. Perché un intercalante possa trovare posto tra le due basi, occorre che la doppia elica si apra e perda la sua conformazione standard. Tali modifiche strutturali inibiscono sia la trascrizione che la replicazione del DNA ed aumentano la possibilità di insorgenza di mutazioni. Per tale motivo, gli intercalanti sono considerati molecole cancerogene, come dimostrato da numerosi studi su molecole come il benzopirene, l'acridina, l'aflatossina ed il bromuro di etidio. In ogni caso, proprio grazie alla loro capacità di inibire trascrizione e replicazione, tali molecole sono anche utilizzate in chemioterapia per inibire la rapida crescita delle cellule neoplastiche. 
Disposizione del DNA
Negli eucarioti, il DNA è solitamente presente all'interno di cromosomi lineari (circolari nei procarioti). La somma di tutti i cromosomi di una cellula ne costituisce il genoma; il genoma umano conta circa 3 miliardi di paia di basi contenute in 46 cromosomi.La disposizione finale a cromosomi segue precise regole gerarchiche di impacchettamento. Nelle cellule, infatti, il doppio filamento di DNA non può essere disposto a casaccio, ma deve seguire precise regole di ordinamento. Tali accorgimenti si rivelano necessari perché la lunghezza dei filamenti di DNA è solitamente molto elevata e creerebbe seri problemi alla cellula ospite. Ad esempio, il cromosoma di Escherichia coli, il procariote più studiato nella storia della biomedicina, misura circa 1 mm. In una cellula lunga solo 2 µm, come quella di E.coli, la disposizione casuale di un cromosoma del genere potrebbe generare problemi. Se una molecola di questa lunghezza si disponesse casualmente, infatti, ci sarebbe bisogno di una cellula grande almeno 1000 volte tanto. Le modalità di impacchettamento sono differenti tra gli organismi procarioti e quelli eucarioti.

Procarioti
Nella maggior parte delle cellule batteriche il DNA è disposto su un unico cromosoma circolare (e presenta, come molti altri batteri, un'unica origine di replicazione), come previsto da numerosi esperimenti di linkage ed infine evidenziato in cellule cresciute con timina marcata con tritio. I meccanismi messi in atto dalla cellula procariote per ridurre lo spazio necessario consistono anzitutto nel mascheramento delle cariche negative presenti sul DNA attraverso la sua associazione con poliammine cariche positivamente, come la spermina e la spermidina. Oltre a queste, il DNA procariote prende contatto anche con numerose piccole proteine, che compattano la struttura complessiva del DNA. Tra di esse, figura H-NS, un dimero con funzioni molto simili agli istoni eucariotici. In ogni cellula di E.coli esistono in media 20000 molecole di H-NS, che si dispongono lungo il DNA a distanza di circa 400bp. Il DNA di E.coli è inoltre molto superavvolto. Tale fenomeno contribuisce ulteriormente al compattamento del DNA, permettendo ad esso di disporsi comodamente all'interno della cellula.
Eucarioti

Negli eucarioti l'impacchettamento è ottenuto attraverso diversi accorgimenti. Il DNA è associato ad un gran numero di proteine: l'associazione complessiva DNA-proteine è definita cromatina, la cui struttura è ampiamente conservata tra tutti gli organismi eucarioti. Le proteine cromatiniche più abbondanti sono gli istoni, una famiglia di polipeptidi basici presenti nel nucleo. Le principali proteine istoniche sono H1, H2A, H2B, H3 e H4. La basicità degli istoni è dovuta alla grande quantità di amminoacidi carichi positivamente (lisina e arginina), in grado di instaurare interazioni elettrostatiche con i gruppi fosfato del DNA. Le proteine istoniche sono anche pesantemente modificate, proprio sui residui carichi, da modificazioni post-traduzionali, tra cui l'aggiunta di acetili, di fosfati e di metili, che neutralizzano la carica positiva o la rendono negativa. Le sequenze amminoacidiche di quattro dei cinque istoni (H2A, H2B, H3 e H4) sono altamente conservate, anche tra specie molto diverse. La sequenza di H1 presenta invece maggiori variazioni lungo l'evoluzione: in alcuni organismi, H1 non è nemmeno presente in tutti i tessuti (ad esempio negli eritrociti degli uccelli H1 è sostituita da un sesto istone, chiamato H5). La presenza di differenti H1, in ogni caso, non modifica sostanzialmente la struttura complessiva dell'apparato istonico (definito nucleosoma), che resta ampiamente conservato nell'architettura nella quasi totalità degli eucarioti

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